Il giorno 11 maggio del 2012 ricorre l’anniversario della scomparsa di ANITA PITTONI maestra e poliedrica artista il cui nome è stato dato in suo onore alla Scuola Elementare Statale sita a Trieste in via Vasari 23.
Anita Pittoni è stata un grande personaggio culturale di Trieste che attraverso FUTURISMO, ASTRATTISMO e COSTRUTTIVISMO ha basato i principi sui quali costruire il suo linguaggio espressivo che la ha spinta attraverso approfondite ricerche strutturali e materiche.
E’ ideatrice di bozzetti per abiti, di figurini per balletti e spettacoli teatrali, si occupa di moda e di arredamento, dirige un laboratorio per l’esecuzione delle proprie creazioni, si dedica alla formazione delle lavoratrici che educa all’esecuzione di manufatti di alto livello, si occupa di ricamo, lavoro a maglia e tessitura a telaio.
Anita Pittoni è conscia del fatto che, quanto più ricca è stata la nostra vita interiore, tanto più intensa sarà l’arte da noi prodotta.
Infatti è noto che i suoi capi di vestiario erano praticamente studiati ad hoc per la persona che li avrebbe indossati e tutto lascia ad intendere che una persona geniale, intuitiva e fattiva come lei non si limitasse ad eseguire i voleri del committente.
Anita Pittoni aveva la capacità di guardare al di là della forma, di non fermarsi al personaggio che una persona le proponeva, aveva anche quella cultura che è necessaria per riconoscere gli dei presenti dentro l’Olimpo di ogni persona e che ne rappresentano i diversi aspetti.
In questo senso la figura di Anita Pittoni è di straordinaria attualità e potenza perchè era una donna con tutti i suoi sensi così vivi e intensi e che manteneva un rapporto diretto con la materia e l’integrità del corpo e contemporaneamente era una donna che incarnava naturalmente quell’ideale rinascimentale del salotto come fucina in cui artisti e intellettuali, filosofi e tecnici si frequentavano e si stimolavano e completavano reciprocamente.
Era capace di essere manovale e imprenditrice, artista in grado di produrre d’istinto ma anche di descrivere con lucidità i risvolti del processo artistico.
Parlando di questa eclettica artista triestina molti la hanno definita “donna forte, ma anche invasa da un sentimento di fragilità” che ha contribuito ad attribuirle questo storico appellativo: “ANITA PTTONI, LA FORZA DELLA FRAGILITA’”.
Anita Pittoni, oltre che maestra, è stata scrittrice di racconti e poesie ed artista ad ampio raggio.
Ci suggerisce il Moretti che “Il sapere per Pittoni non era un fine ma un mezzo per raggiungere la libertà e l’indipendenza dello spirito”.
“Amica e promotrice di molti intellettuali – ci dice Gabriella Ziani – Anita Pittoni ha trovato un’autentica intesa solo con gli uomini. La sua fragilità femminile è emersa piuttosto negli anni dell’ <<abbandono>>, nelle poesie e negli scritti.”
Rare sono state, quindi, se non del tutto assenti, le amicizie femminili.
La sua attività imprenditoriale ed artistica era principalmente mossa dalla volontà di fare conoscere nel mondo la cultura di Trieste.
Si dice che Anita Pittoni “Ebbe il coraggio di fare troppe cose. Tutte da sola.”
Figlia dell’ingeniere Francesco e di Angela Marcolin, Anita condivide con i due fratelli una vita dignitosa, tuttavia tutt’altro che agiata.
Impara a cucire e, dopo aver abbandonato gli studi universitari, in una soffitta mette in pratica ciò che la scuola, la madre e la sua fantasia le avevano insegnato, e cioè a lavorare con l’ago e a creare tessuti, arazzi e panelli che ben presto sono approdati alle grandi mostre universali di Parigi, Berlino, Buenos Aires e New York.
Anita Pittoni diresse dagli inizi degli anni Trenta nella sua casa di via Cassa di Risparmio un laboratorio di tessuti a maglia realizzati manualmente all’uncinetto o a ferri da un esercito di selezionatissime lavoranti.
Con i suoi lavori di artigianato artistico, Anita, partecipa nel 1934 e nel 1942 alla Biennale di Venezia e realizza i costumi per le opere di vari registi tra i quali Anton Giulio Bragaglia, collaborando poi agli arredamenti di prestigiosi architetti del tempo del calibro di Belgioioso, Peressutti, Rogers .
I suoi lavori di artigianato artistico erano soprattutto intrecci di canapa e ori, lane grezze e morbidi lini, caratterizzati soprattutto da una spiccata creatività sartoriale.
Purtroppo la guerra mette fine a questa attività della Pittoni la quale, però, non si perde d’animo e si inserisce nel gruppo degli intellettuali che si incontrano all’ormai mitico caffè “Garibaldi”: Virgilio Giotti, Pier Antonio Quarantotti Gambini, Gianni Stuparich il quale, lascia per lei, la moglie Elody Oblath.
Questo circolo letterario si trasferisce, poi, a casa di Anita, in via Cassa di Risparmio numero 1 a Trieste.
Proprio in questo laboratorio-casa di Anita nasce nel 1949 lo “Zibaldone”, sintesi matura tra capacità imprenditoriale e passione artistica.
Questa piccola casa editrice riesce a pubblicare autori antichi e moderni di cultura giuliana.
Anita non può limitarsi a pubblicare poeti o scrittori come Saba, Giotti, Stuparich, Miniussi, Budigna, Kezich, Grisancich, Todeschini ed a ospitare pittori come Pierri, Roberto Costa e, successivamente, sua figlia Nicoletta.
Anita, per fare conoscere la cultura della sua città nel mondo, intrattiene rapporti con i più famosi critici, editori, scrittori, librai d’Italia raggiungendo, in qualche caso, anche l’America.
Anita scrive saggi storici su Trieste, poesie, racconti, memorie sue e dei suoi amici più cari come Bazlen e Umberto Saba.
La produzione letteraria di Anita Pittoni comprende anche uno spietato autoritratto in “Confessione temeraria” nella quale la sua forza vitale viene messa a nudo nella carenza di moralità e di legge, nell’incapacità di chiedere perdono e nel suo ossessivo bisogno di affetto.
Nel 1961 giunge il declino: muore Stuparich, Anita perde la casa di via Cassa di Risparmio numero 1 per scarsa disponibilità economica, quella disponibilità che le aveva permesso di finanziare lo Zibaldone.
Anita Pittoni non riesce più a riprendersi e, nei numerosi traslochi, perde le sue carte e, senza eredi, si spegne all’Ospedale, al reparto Lungodegenti, l’11 maggio del 1982.
Trascorsi più di 100 anni dalla sua nascita è doveroso ricordare questa donna che ebbe il coraggio di fare, da sola e con successo, troppe cose.
Luciano Manfredi, uno degli eredi, ha donato alla biblioteca civica Attilio Hortis diciotto scatole di documenti relativi alla produzione della casa editrice di Anita Pittoni, “Lo Zibaldone”, alla sua attività letteraria, fotografie, lettere di familiari, carteggi appartenenti alla dimensione più intima e privata di questa intellettuale.
Tra le chicche, una foto che ritrae Anita accanto a Mussolini all’inaugurazione di una mostra a Milano a fine anni ’30 e l’incartamento relativo alla ricerca dell’amato fratello Franco, disperso in guerra, a testimonianza dei forti legami familiari che intercorrevano fra i due.
Con questo articolo ci proponiamo di far conoscere, apprezzare, fruire dell’opera di una grandissima donna triestina dalle molte sfaccettature, ingiustamente dimenticata e smarrita nel ricordo della collettività.
LUCIA GHIRARDI