Una pittura/pittura, dispiegata per dar corpo ai propri fantasmi o all’eco delle presenze che ci attorniano, alle soglie del 2000, non viene più penalizzata come avveniva negli anni settanta. Il ripristino del colore, come mezzo storicamente fondante dell’espressione artistica bidimensionale, rientra nelle molteplici potenzialità comunicative dell’arte attuale e non c’è barba di critico sofisticato che osi arricciare il nasi di fronte al canto, lirico o drammatico, allusivo o fantastico, di una fluenza pittorica, matrice primaria del racconto per immagini. Il racconto pittorico di Lucia Ghirardi, concitato e sensuale nell’esaltante fisicità delle sovrapposizioni cromatiche, ripercorre un processo caro all’espressionismo di varia natura che ha attraversato il nostro secolo, con partiocolare riferimento al momento Cobra. Cioè la realtà originaria, da cui nasce l’impulso a dipingere, viene sottoposta a violente modificazioni, frantumandosi sotto l’impeto del pennello, liberando quindi i segni e il colore. Questi, pur contenendo i residui deformati del mondo circostante, aspirano a vita propria, paghi del vitalismo di cui sono impregnati, allusivo di una più dilatata e penetrante visione del mondo. Nella fase più recente, Lucia Ghirardi dell’energia cromatica autoreferente, passa ad una più esplicita narrazione, facendo del nudo e del volto umano l’oggetto di una ricerca sulla sofferenza universale, con una tendenza segnica più contratta ed implosa che può rievocare le contrazioni laceranti di un Egon Schiele.
Lucia Ghirardi segue l’impulso della pura pittura, della pura bidimensionalità. Il colore sgorga con l’impeto drammatico e con il gesto largo dei Cobra; traccia paesaggi o ritratti, nel solco di una tematica per tradizione delegata alla pittura. Ma i temi tratti dal mondo circostante si sciolgono nella dinamica del gesto, nell’esplosione cromatica. Questi divengono i protagonisti di una prassi, condotta con grande padronanza, che si esalta nel suo farsi, distanziando gli spunti che l’hanno originata, per immergersi nella totalità dell’essere.
Nel percorso instancabile che Lucia Ghirardi intraprende tra gli impervi sentieri dell’arte, su di una base consolidata e per il momento inviolabile qual è la pittura di marca espressionista, si registrano degli spostamenti dentro e fuori il corpo pittorico. Saltuari movimenti che dichiarano l’attenzione dell’artista sia alla propria interna crescita esistenziale, sia a quanto accade nell’attuale panorama artistico internazionale. Pur restando fedele al proprio grandioso impianto pittorico che contiene l’enfasi cromatica e nel contempo la volontà geometrica destrutturale di lontana ascendenza cubista. Lucia Ghirardi oggi sente il bisogno di assemblare le tele con un senso costruttivo che si rapporta allo spazio ambientale. E sente anche la necessità di motivare la sua pittura con referenze extralinguistiche di varia natura, letteraria innanzitutto, o musicale (non dimentichiamo che la Ghirardi è violinista) per cui determinate letture (in questo momento Italo Calvino) o certe ricerche per trasmettere ai bambini il linguaggio universale della musica, diventano sostanza – un tempo si sarebbe detto “ispirazione” – per costruzioni segniche o sobbalzi cromatici, spesso condotti su sapienti congiunzioni giallo/verde/blu, dal respiro monumentale. Persistono infatti la straordinaria cadenza energetica, la tensione sublime, dagli echi indubbiamente mitteleuropei, che sin dalle prime apparizioni in pubblico hanno rivelato in lei una forza pittorica nativa e un’intensità comunicativa non comuni, oggi rastremate in sintesi più mature, degne di un rapido espatrio dalle anguste strettoie di provincia.
Maria Campitelli
Lucia Ghirardi, triestina, è ben nota a coloro che per passione e mestiere seguono le arti figurative. Attiva dal finire degli anni Ottanta ha frequentato la Scuola Libera di Figura del Civico Museo Rivoltella con Nino Perizi e con lo stesso maestro ha anche seguito i corsi estivi tenuti presso le Cave Romane di Aurisina. Ha preso parte a parecchie mostre collettive, ben due volte è stata premiata al Concorso Lilion Caraian per giovani artisti e in altre occasioni, ha tenuto mostre personali di cui la più significativa presso la Sala comunale d’Arte di Trieste nel 1992. Della pittrice in primo luogo va notata la forte padronanza degli spazi che conquista attraverso opere dalle dimensioni ampie e spesso composite nelle quali elabora ricchezze di colore e figurazioni dal linguaggio postcubista che tende da un lato alla sintesi e dall’altro all’astrazione a seconda che si tratti di accentuare la figura o le dilatati visioni di panorami e contesti. La sua è una figurazione dalle connotazioni espressioniste, a volte intensamente drammatiche, tuttavia mai cupe e deprimenti anche quando il soggetto risulta essere di per se stesso impegnativo. La lezione del Perizi è ben assimilata e la Ghirardi immette nell’opera un senso fortemente ritmico – frutto probabilmente della sua vasta cultura e pratica musicale – attraverso il quale contrappone i colori in modo tale che si esaltino a vicenda secondo modelli cari ad Emilio Vedova o ad Alberto Gianquinto pur senza pervenire mai al puro espressionismo astratto. Ragione e sentimento, pathos narrativo e slancio irrazionale compendiano segno e colore per risultati assai apprezzabili e che aprono all’artista prospettive promettenti, tutte ancora da sviluppare in crescendo.
Nata a Trieste nel 1964. Ha studiato disegno e pittura con Nino Perizi presso la Scuola Libera di Figura del Civico Museo Revoltella e in vari stages all’aperto. Ha frequentato, con la guioda di Giovanbattista Carpi, la Scuola Walt Disney di Milano. Si è segnalata in varie rassegne vincendo il Premio Lilian Caraian nel 1988. Nel 1993 è stata invitata dal Curatorio del Museo Revoltella a realizzare un progetto installativo d’arte moderna a Trieste. Espone in varie rassegne collettive nell’area giuliana e in Austria ed ha tenuto varie mostre personali. La caratteristica principale di questa pittrice si connota per una trasformazione della realtà basata sui ritmi di colore, il segno incisivo e la forte padronanza degli spazi. Le sue figurazioni elaborano un linguaggio memore della lezione espressionista e post cubista e accentuano di volta in volta la sintesi o l’astrazione, a seconda del contesto. E’ anche musicista.
Lucia Ghirardi esterna virulentemente il suo icastico neo-espressionismo nel tema della figura allusiva. Sono per lo più teste di colore forte, violento, gridante e arbitrario e dal segno stenografico e perentorio, che fanno pensare e risalire ad una moderna interpretazione dell’arte negra, rivisitata sotto il patrocinio simbolico di Pablo Picasso.
Sergio Molesi
Aldo Castelpietra
Ghirardi: oltre i limiti pennellate di energia.
Lucia Ghirardi si presenta alla Sala Comunale d’arte in una mostra curata da Maria Campitelli, in cui la giovane artista triestina espone il frutto di un consistenete lavoro. Un primo merito le va subito ascritto e la contraddistingue tra i suoi coetanei: la capacità di lavorare sulle grandi superfici con una forte carica emozionale, ma soprattutto con un dominio sicuro dello spazio.
La sua pittura allontana da sé le ipoteche del quadro e prolunga oltre i limiti della cornice le linee di forza che individuano i corpi, costruiti con colori violenti o con pennellate piene di energia.
Una solida impostazione neocubista di base attrae la Ghirardi per le sue possibilità costruttive, che danno volume e spessore al suo istinto cromatico e guidano le soluzioni più difficili e autoreferenziali, quali quella del “Notturno”, uno tra i dipinti più asciutti e melodiosi esposti in mostra. Ma il bisogno di ridurre l’equilibrio ortogonale dei piani cromatici e dei sentimenti avvia contemporaneamente l’artista verso un espressionismo in bilico tra racconto e fisicità pura della pennellata: tra i Cobra e De Kooning, ad esempio.
Giunta sul limite di questo spartiacque, la Ghirardi affronta lo scarto tra una pittura mediata, a lei più congeniale, e il desiderio di superare i limiti oggettivi di un tale temperamento. L’artista affronta con coraggio questo nodo del suo percorso proprio nel momento in cui porta al punto di collisione le due rotte, evitando le soluzioni appiananti delle “Donne tra i papaveri” o di alcuni volti, troppo tormentati da sottolineature descrittive.
Nelle tele con i corpi disarticolati da una passione cromatica e gestuale non ancora placata e risolta in un’immagine piena e definita, l’artista raggiunge invece la saturazione espressiva e quindi i risultati migliori.
Laura Safred
Le città invisibili fatte a pennello
Armilla, Zobeide, Diomira e le altre prendono forma sulla tela
“Le città invisibili “ di Italo Calvino non sono solo un alto volo della fantasia. Uno squisito esrecizio di stile. Chi legge quel libro, finisce per immaginare una realtà parallela. Si scopre disposto a credere a mondi impossibili, a entità bizzarre. Se, poi, i racconti arrivano tra le mani di un artista, il mistero, l’inconoscibile, finisce per prendere forma. Piano piano, sotto gli occhi.
Lucia Ghirardi, che dipinge da parecchi anni, ha scoperto presto una forte sintonia con i mondi immaginari di Italo Calvino. Anche perché Nino Perizi, il grande pittore e scultore triestino morto nel 1993, di cui lei è stata allieva, le ha sempre detto che in testi come “Il barone rampante”, “Il visconte dimezzato”, “Il cavaliere inesistente”,la trilogia dei “Nostri antenati”, ma anche nelle “Città invisibili”, avrebbe trovato una fonte d’ispirazione forte, inesauribile.
Perizi è stato profeta. Perché Lucia Ghirardi ha cominciato a immaginare sulla tela alcuni racconti di Calvino già nel 1992. E adesso, dieci anni dopo, porta in esposizione “Le città invisibili”. Tele, bozzetti e disegni che hanno preso ispirazione da quel libro, verranno, infatti, esposti oggi alla Biblioteca Statale di Largo Papa Giovanni XXIII, a Trieste. L’inaugurazione si terrà alle 17. La personale, curata da Laura Safred, poi, potrà essere visitata fino al 25 gennaio: dal lunedì al venerdì, 9.30-18; il sabato, 9.30-13.
“Sono partita dai “Nostri Antenati” – racconta Lucia Ghirardi – ovvero il Barone, il Cavaliere e il Visconte. A quei tre personaggi di Calvino ho dedicato grandi installazioni montate su sostegni con le quali mi prefiggeno di uscire dalla forma classica del quadro. In questi nuovi lavori, dedicati alle “Città invisibili” ritorno volentieri alle dimensioni “obbligate” della tela, cercando di contenere il gesto creativo e l’espressività cromatica entro limiti che ho stabilito, ricercando una certa uniformità di toni e strutture.”
Rendere sulla tela la fantasia labirintica di Calvino non è impresa da poco. Lucia Ghirardi ha scelto, così, di partire da una serie di disegni preparatori, concepiti secondo una forma a “guscio di noce” dalla quale sorgono le “città invisibili”.
“Mi sono inoltrata nel groviglio di tubi e sifoni di docce della città di Armilla, sono rimasta accecata dallo scintillio delle cupole d’argento poste sui palazzi di Diomira.”
E, via via, viaggiando con la fantasia verso Zobeide, Isaura e le altre.”
Mezzena Lona